Afta Epizootica
L’Afta epizootica è una malattia infettiva altamente contagiosa che colpisce tutti i mammiferi appartenente all’ordine Artiodactyla, sia domestici sia selvatici. Sono pertanto colpiti i sottordini: Ruminantia (bovino, bufalo, ovino, caprino, cervo, capriolo, camoscio, daino, muflone, stambecco, antilope, giraffa, yak, gnu, zebù, gazzella, bisonte, alce, renna ecc.), Suina (maiale, cinghiale, facocero, potamocero, ilocero, ippopotamo ecc.) e Tylopoda (cammello, dromedario, lama, alpaca, guanaco ecc.).
E ‘causata da virus a RNA senza envelope di 22 – 30 nm appartenente alla famiglia Picornaviridae, genere Aphthovirus.
Esistono in natura sette tipi immunologici di virus aftosi: A, O, C, SAT-1, SAT-2, SAT-3, ASIA-1; nell’ambito di questi sierotipi mediante prove immunologiche e biochimiche è possibile differenziare i sottotipi. L’infezione con uno dei sierotipi non conferisce sostanziale immunità crociata verso gli altri.
La malattia, caratterizzata da elevatissima morbilità e bassa mortalità, si manifesta con uno stato febbrile iniziale seguito dalla comparsa delle tipiche lesioni vescicolari sulla cute e sulle mucose. I segni clinici possono variare da lievi a gravi, e possono verificarsi anche casi mortali, soprattutto negli animali giovani .
La malattia si trasmette sia per contatto diretto che indiretto, principalmente per via respiratoria e più raramente tramite la via orale. Il virus è presente ad elevata concentrazione nelle vescicole aftose anche se durante la fase di viremia è presente in tutti gli organi, nelle escrezioni e nelle secrezione compresi il latte e lo sperma, che sono infettanti anche durante il periodo d’incubazione (che solitamente varia da 36 ore a 7 giorni). Va ricordato che il virus può persistere a lungo sia in alcuni tessuti degli animali convalescenti o già completamente guariti sia nell’ambiente esterno.
La diffusione del virus a distanza in genere si verifica con il trasporto di animali infetti o prodotti carnei provenienti da animali infetti.
Dalla fine degli anni ’60, dopo l’avvio della vaccinazione obbligatoria antiaftosa, i casi di afta sono stati sempre più rari. All’inizio degli anni ’90, fu sospesa la vaccinazione antiaftosa nell’Unione Europea e la strategia vaccinale fu sostituita dal tempestivo controllo dell’insorgenza dei focolai, con conseguente abbattimento e distruzione degli animali. Nel 1993, si verificò in Italia l’ultimo focolaio di Afta epizootica, probabilmente dovuto ad importazione di bovini dalla Croazia.
Alla fine del mese scorso sono stati accertati focolai di Afta epizootica in Nord Africa, in particolare in Tunisia (fonte: OIE 30/04/2014). A seguito dell’evento epidemico sono state adottate da parte del Ministero della Salute e delle autorità competenti tutte le misure di contrasto previste dalla normativa vigente volte a prevenire la diffusione del virus.
Infatti tale evento potrebbe rappresentare un pericolo per il patrimonio zootecnico nazionale, perciò si rende necessario mantenere uno stato di allerta, soprattutto per quegli elementi di rischio rappresentati da residui alimentari a seguito dei cittadini in provenienza da quelle aree, che, se non opportunamente trattati, possono venire in contatto con le specie sensibili ed essere fonte di infezione.
Il Ministero della Salute chiede pertanto che vengano applicati i protocolli già attivi (nota DGSA prot n. 5875 del 31 marzo 2011) affinché si possa evitare un’emergenza sanitaria. Vedi nota del Ministero del 5 Maggio 2014.
Per maggiori informazioni sulla malattia si rimanda al sito dell’IZSLER, in quanto centro di referenza per le Malattie Vescicolari.